domenica 23 dicembre 2012


Sonetto 121

È meglio esser colpevole che tale esser stimato
quando non essendolo si è accusati d'esserlo;
e perso è ogni valor sincero perché creduto colpa
non dal nostro sentire, ma dal giudizio d'altri.
Perché mai dovrebbero gli occhi altrui adulteri
considerar vizioso il mio amoroso sangue?
Perché nelle mie voglie s'insinuan lascive spie
che a parer lor condannano quel ch'io ritengo giusto?
No, io sono quel che sono e chi mira
ai miei errori, colpisce solo i propri;
potrei esser io sincero e loro non dire il vero,
non venga il mio agir pesato dal loro pensar corrotto;
a men che non sostengano questo mal comune -
l'umanità è malvagia e nel suo mal trionfa.

William Shakespeare




giovedì 13 dicembre 2012


Passato, presente e futuro
Io fui. Ma quel che fui più non ricordo:
polvere a strati, veli, mi camuffano
questi quaranta volti disuguali,
logorati da tempo e mareggiate.
Io sono. E quel che sono è così poco:
rana fuor dello stagno che saltò,
e nel salto, alto quanto più si può,
l’aria di un altro mondo la schiattò.
C’è da vedere, se c’è, quel che sarò:
un viso ricomposto innanzi fine,
un canto di batraci, pure roco,
una vita che scorre bene o male.

José Saramago


venerdì 7 dicembre 2012


Storia antica

Impegni non avevo, ma mancai;
giuramenti non feci, ma tradii:
che ci si senta rei non dipende
dal giudizio degli altri, ma di sé.

E' facile compagna la coscienza
se accetta docilmente e viene a patti,
difficile è tacitarla quando siamo
più retti, infine, di quello che si crede.

Un giorno tornerò al triste mondo,
alla lotta che ormai più non m'aspetta,
ma prima sia diversa un'altra donna,
compagna, non catena che m'incatena.

José Saramago



Mezze suole

So bene che le mezze suole messe
alle scarpe aggiustate non resistono
al selciato del tempo che percorro.

Fermo, chissà, le scarpe mi duravano,
ma quieto chi ci sta, anche sapendo
che è di questo cammino che mi muoio.

José Saramago



Vorrei

Vorrei poter soffocare
nella stretta delle tue braccia
nell'amore ardente del tuo corpo
sul tuo volto, sulle tue membra struggenti
nel deliquio dei tuoi occhi profondi
perduti nel mio amore,
quest'acredine arida
che mi tormenta.
Ardere confuso in te disperatamente
quest'insaziabilità della mia anima
già stanca di tutte le cose
prima ancor di conoscerle
ed ora tanto esasperata
dal mutismo del mondo
implacabile a tutti i miei sogni
e dalla sua atrocità tranquilla
che mi grava terribile
e noncurante
e nemmeno più mi concede
la pacatezza del tedio
ma mi strazia tormentosamente
e mi pungola atroce,
senza lasciarmi urlare,
sconvolgendomi il sangue
soffocandomi atroce
in un silenzio che è uno spasimo
in un silenzio fremente.
Nell'ebrezza disperata
dell'amore di tutto il tuo corpo
e della tua anima perduta
vorrei sconvolgere e bruciarmi l'anima
sperdere quest'orrore
che mi strappa gli urli
e me li soffoca in gola
bruciarlo annichilirlo in un attimo
e stringermi a te
senza ritegno più
ciecamente, febbrile,
schiantandoti, d'amore.
Poi morire, morire,
con te.
Il giorno tetro
in cui dovrò solitario
morire (e verrà, senza scampo)
quel giorno piangerò
pensando che potevo
morire così nell'ebbrezza
di una passione ardente.
Ma per pietà d'amore
non l'ho voluto mai.
Per pietà del tuo povero amore
ho scelto, anima mia,
la via del più lungo dolore.

Cesare Pavese



Nel mio dolore

Nel mio dolore nulla è in movimento
Di quello che io stesso sono stato
Attendo nessuno verrà
Né di giorno né di notte né mai più
I miei occhi si sono separati dai tuoi occhi
Perdono fiducia perdono la luce
La mia bocca si è separata dalla tua bocca
La mia bocca si è separata dal piacere
E dal senso dell’amore e dal senso della vita
Le mie mani si sono separate della tue mani
Le mie mani lasciano sfuggire tutto
I miei piedi si sono separati dai tuoi piedi
Non avanzeranno più non ci sono più strade
Non conosceranno più né il peso né il riposo
Mi è concesso di veder finire la mia vita
Con la tua
La mia vita è in tuo potere
che ho creduto infinita
E l’avvenire la mia sola speranza è il mio sepolcro
Identico al tuo circondato da un mondo indifferente
Ero così vicino a te che ho freddo vicino agli altri.

Paul Éluard



T'amo per tutte le donne che non ho conosciuto

T'amo per tutte le stagioni che non ho vissuto
Per l'odore d'altomare e l'odore del pane fresco
Per la neve che si scioglie per i primi fiori
Per gli animali puri che l'uomo non spaventa
T'amo per parlare
T'amo per tutte le donne che non amo
Sei tu stessa a riflettermi io mi vedo così poco
Senza di te non vedo che un deserto
Tra il passato e il presente
Ci sono state tutte queste morti superate senza far rumore
Non ho potuto rompere il muro del mio specchio
Ho dovuto imparare parola per parola la vita
Come si dimentica
T'amo per la tua saggezza che non è la mia
Per la salute
T'amo contro tutto quello che ci illude
Per questo cuore immortale che io non posseggo
Tu credi di essere il dubbio e non sei che ragione
Tu sei il sole forte che mi inebria
Quando sono sicuro di me.

Paul Éluard



Quei tuoi capelli d'arance nel vuoto del mondo

Quei tuoi capelli d'arance nel vuoto del mondo,
nel vuoto dei vetri grevi di silenzio e
d'ombra ove a mani nude cerco ogni tuo riflesso,

Chimerica è la forma del tuo cuore
e al mio desiderio perduto il tuo amore somiglia.
O sospiri di ambra, sogni, sguardi.

Ma non sempre sei stata con me, tu. La memoria
m’è oscurata ancora d’averti vista giungere
e sparire. Ha parole il tempo, come l’amore.

Paul Éluard


lunedì 3 dicembre 2012


Le parole, sono l'unica cosa che abbiamo.

José Saramago


mercoledì 28 novembre 2012


Ode al cane

Il cane mi domanda e non rispondo.
Salta, corre pei campi e mi domanda
senza parlare
e i suoi occhi son due domande umide,
due fiamme
liquide
interroganti
e non rispondo, non rispondo perché non so
e niente posso dire.

In mezzo ai campi andiamo,
uomo e cane.

Luccicano le foglie come se qualcuno
le avesse baciate ad una ad una,
salgono dal suolo tutte le arance
a collocare piccoli planetari
in alberi rotondi
come la notte e verdi
e uomo e cane andiamo, fiutando il mondo,
scuotendo il trifoglio,
tra le limpide dita di settembre.
Il cane si arresta, corre dietro alle api,
salta l'acqua irrequieta,
ascolta lontanissimi latrati,
orina su una pietra
e porta la punta del suo muso a me,
come un regalo.
Tenera impertinenza per palesare affetto!
e fu a quel punto che mi chiese,
con gli occhi,
perché ora è giorno, perché verrà la notte,
perché la primavera non portò nel suo cesto
nulla per cani vagabondi,
ma inutili fiori, fiori e ancora fiori.
questo mi chiede il cane, e non rispondo.

Andiamo avanti,
uomo e cane, appaiati dal mattino verde,
dall'eccitante vuota solitudine
in cui solo noi esistiamo,
questa coppia di un cane rugiadoso
e un poeta del bosco,
perché non esistono
uccelli o fiori occulti,
ma profumi e gorgheggi
per due compagni:
un mondo inumidito dalle distillazioni della notte,
un tunnel verde e poi una prateria,
una raffica di vento aranciato,
il sussurro delle radici,
la vita che cammina,
respira,
cresce
e l'antica amicizia,
la gioia di esser cane e di esser uomo
tramutata in un solo animale
che cammina muovendo sei zampe
e una coda intrisa di rugiada.

Pablo Neruda


sabato 24 novembre 2012


Quelle come me
Quelle come me regalano sogni,
anche a costo di rimanerne prive…
Quelle come me donano l’Anima,
perché un’anima da sola è come
una goccia d’acqua nel deserto…
Quelle come me tendono la mano
ed aiutano a rialzarsi, pur correndo il rischio
di cadere a loro volta…
Quelle come me guardano avanti,
anche se il cuore rimane sempre qualche passo indietro…
Quelle come me cercano un senso all’esistere e,
quando lo trovano, tentano d’insegnarlo
a chi sta solo sopravvivendo…
Quelle come me quando amano, amano per sempre…
e quando smettono d’amare è solo perché
piccoli frammenti di essere giacciono
inermi nelle mani della vita…
Quelle come me inseguono un sogno…
quello di essere amate per ciò che sono
e non per ciò che si vorrebbe fossero…
Quelle come me girano il mondo
alla ricerca di quei valori che, ormai,
sono caduti nel dimenticatoio dell’anima…
Quelle come me vorrebbero cambiare,
ma il farlo comporterebbe nascere di nuovo…
Quelle come me urlano in silenzio,
perché la loro voce non si confonda con le lacrime…
Quelle come me sono quelle cui tu riesci
sempre a spezzare il cuore,
perché sai che ti lasceranno andare,
senza chiederti nulla…
Quelle come me amano troppo, pur sapendo che,
in cambio, non riceveranno altro che briciole…
Quelle come me si cibano di quel poco e su di esso,
purtroppo, fondano la loro esistenza…
Quelle come me passano inosservate,
ma sono le uniche che ti ameranno davvero…
Quelle come me sono quelle che,
nell’autunno della tua vita,
rimpiangerai per tutto ciò che avrebbero potuto darti
e che tu non hai voluto…

Alda Merini


giovedì 22 novembre 2012


(dal) Manfred

Odimi, odimi, Astarte,
amata, parlami! Tanto ho sofferto
e soffro ancora tanto. Guardami!
La tua fossa non ti ha mutato tanto
quant'io son mutato per te.
Troppo mi amasti, come io ti amai.
Non eravamo fatti per torturarci così,
quantunque fosse il più empio dei peccati
amarci come noi ci amammo...
Dimmi che tu non mi detesti...
Che io sconto il castigo per entrambi,
che tu sarai del numero beato,
e io morrò... Perché finora tutto
quel che odio cospira a incatenarmi
all'esistenza, a una vita che mi esclude
dall'immortalità, dove il futuro
è simile al passato. Non ho tregua.
Non so che cosa chiedere o cercare.
Sento soltanto quello che tu sei
e io sono. Ma, prima di morire
vorrei udire di nuovo quella voce
che era la mia musica.
Parlami! Ti ho invocato nelle notti
serene, ho spaventato gli uccelli
addormentati tra i silenziosi rami,
per chiamare te.
Ho risvegliato i lupi montani
ho appreso alle caverne a riecheggiare
invano il nome tuo adorato; tutto
rispose, tranne la tua voce. Parlami!
Ho errato sulla terra e non ho mai
trovato a te l'uguale. Parlami!
T'ho cercato tra le stelle a venire,
ho contemplato il cielo inutilmente,
senza trovarti mai. Parlami! Guarda,
i demoni a me attorno, hanno pietà
di me che non li temo ed ho pietà
per te soltanto. Parlami!
Sdegnata, se vuoi, ma parlami!
Dimmi non so che cosa, ma che io ti senta
una volta ancora...


Carmelo Bene


martedì 20 novembre 2012


Lisbona, 14 marzo 1916
Mio caro Sa-Carneiro,
Le scrivo oggi per necessità sentimentale, per una struggente ansia di parlare con Lei. Come si desume da quanto segue, non ho niente da dirLe. 
Solo questo: che oggi ho toccato il fondo di una depressione senza fondo. L'assurdità della frase parla per me. Oggi mi trovo in uno di quei giorni in cui non ho mai avuto futuro. C'è solo il presente: immobile come un muro di angoscia tutto attorno. L'altra riva del fiume, in quanto è quella di là, non è mai quella di qua: e questa è l'intima ragione di ogni mia sofferenza. Ci sono navi dirette verso molti porti, ma nessuna verso dove la vita non dolga, perché non si può sbarcare nel porto della dimenticanza. Tutto ciò è accaduto molto tempo fa, ma la mia pena è più antica. In giorni dell'anima come questo io sento perfettamente, con tutta la coscienza del mio corpo, di essere il bambino triste che la vita ha malmenato. Mi hanno messo in un canto da dove sento gli altri che giocano. tengo fra le mani il giocattolo rotto che mi hanno regalato per un'ironia di latta. Oggi la mia vita si rende conto perfettamente di tutto ciò. Nel giardino che scorgo fra le silenziose finestre della mia prigionia, hanno spinto tutte le altalene più in alto dei rami cui erano attaccate; sono attorcigliate troppo in alto; e così neanche l'idea di essere fuggito può, nella mia immaginazione, disporre di un'altalena per dimenticare l'ora presente. Questo all'incirca, ma detto senza stile, è il mio stato d'animo in questo momento. Come alla vegliatrice del Marinheiro, mi bruciano gli occhi per aver immaginato di piangere. La vita mi duole a pezzi, a sorsate, per interstizi. Tutto ciò è stampato a caratteri minuscoli in un libro dalla brossura che si sta scucendo. Se non stessi scrivendo proprio a Lei, sarei obbligato a giurare che sto scrivendo una lettera sincera e che e che le cose dal nesso isterico che essa contiene sono scaturite spontaneamente da quanto ho nell’animo. Ma Le i capirà perfettamente che questa irrappresentabile tragedia ha la stessa realtà di un attaccapanni o di una tazzina –piena di qui e di ora, e che passa dentro di me come il verde passa nelle foglie.(…)
La mia non è pazzia; ma anche la pazzia deve procurare un abbandono nei riguardi di ciò che ci fi soffrire un astuto piacere degli sbigottimenti dell’animo non molto differenti dal mio.
Di che colore sarà sentire?
Migliaia di abbracci dal sempre Suo

Fernando Pessoa



(da) Lettera ad Armando Côrtes Rodrigues           Lisbona, 19 gennaio 1915

(…)La mia crisi è del tipo delle grandi crisi psichiche, che sono sempre crisi di incompatibilità, quando non con gli altri, certamente con se stessi. La mia, ora, non è di incompatibilità con me stesso; l’autodisciplina che ho gradualmente conquistato è riuscita a unificare dentro di me tutti quegli elementi divergenti del mio carattere che erano suscettibili di essere armonizzati. Ho ancora molto da intraprendere nel mio spirito; perciò sono ancora molto lontano da quell’unificazione che vorrei. Ma, come ho detto, non è da qui che provengono i motivi del mio attuale sconforto.
La crisi di incompatibilità con gli altri, sia chiaro fin d’ora, non è una incompatibilità violenta come se risultasse da divergenze nitide e dichiarate di entrambe le parti. Si tratta di ben altro. L’ incompatibilità è sentita da me, dentro di me, ed è in me che sta tutto il peso della mia divergenza da quelli che mi circondano. Il fatto che io ora mi trovi a vivere solo viene ad aggravare questo mio stato di spirito, perché mi lascia a nudo con la mia anima, senza affetti e senza interessi familiari vicini che possano sviare da me la mia attenzione. Si aggiunga poi che mi trovo a vivere da mesi in una sensazione di profonda incompatibilità con le persone che mi circondano.
in nessuno di quelli che mi circondano io trovo un atteggiamento verso la vita che sia in sincronia con la mia intima sensibilità, con le mie aspirazioni e con le mie ambizioni, con tutto quanto costituisce il fondamento  e l’essenza del mio intimo essere spirituale. (…)


Fernando Pessoa


domenica 18 novembre 2012


Concludendo

Vivo sull’acqua,
solo. Senza moglie né figli.
Ho circumnavigato ogni possibilità
per arrivare a questo:
una piccola casa su acqua grigia,
con le finestre sempre spalancante
al mare stantio.

Certe cose non le scegliamo noi,
ma siamo quello che abbiamo fatto.
Soffriamo, gli anni passano, lasciamo
tante cose per via, fuorché il bisogno
di fardelli.

L’amore è una pietra
che si è posata sul fondo del mare
sotto acqua grigia. Ora, non chiedo nulla
alla poesia, se non vero sentire:
non pietà, non fama, non sollievo.

Tacita sposa,
noi possiamo sederci a guardare acqua grigia,
e in una vita che trabocca
di mediocrità e rifiuti
vivere come rocce.

Scorderò di sentire,
scorderò il mio dono. E’ più grande e duro,
questo, di ciò che là passa per vita.

Dereck Walkott



Penziere mieje...

Penziere mieje, levàteve sti panne,
stracciàtev' 'a cammisa, e ascite annuro.
Si nun tenite n'abito sicuro,
tanta vestite che n'avit' 'a fa?

Menàteve spugliate mmiez' 'a via,
e si facite folla, cammenate.
Si sentite strillà, nun ve fermate:
nu penziero spugliato 'a folla fa.

Currite ncopp' 'a cimma 'e na muntagna,
e quanno 'e piede se sò cunzumate:
un'ànema e curaggio, e ve menate...
nzerrano ll'uocchie, primm' 'e ve menà!

Ca ve trovano annuro? Nun fa niente.
Ce sta sempe nu tizio canusciuto,
ca nun 'o ddice... ca rimmane muto...
e ca ve veste, primm' 'e v'atterrà.

Eduardo De Filippo



Ammore perduto

Ammore perduto,
i' t'ero truvato,
nun aggio saputo
tenerte cu mme.
Ammore perduto,
mm'ha ditto stu core
ca tarde ha saputo
tu ch'ire pe mme.

Antonio de Curtis - in arte Toto' 



Napule, tu e io

Io voglio bene a Napule
pecchè 'o paese mio
è cchiù bello 'e na femmena,
carnale e simpatia.
E voglio bene a te
ca si napulitana
pecchè si comm'a me
cu tanto 'e core 'mmano.
Saje scrivere, saje leggere
parole 'e passione;
saje ridere, saje chiagnere
sentenno na canzona.
Napule, tu e io...
simme tre 'nnammurate:
simmo na cosa sola,
gentile e appassiunata.
Nuie simmo 'e figlie 'e Napule,
Vommero, Margellina :
quanno se dice "Napule"
s'annomena 'a riggina!

Antonio de Curtis - in arte Toto' 



‘A livella

Ogn'anno,il due novembre,c'é l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll'adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.
Ogn'anno,puntualmente,in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado,e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zi' Vicenza.

St'anno m'é capitato 'navventura...
dopo di aver compiuto il triste omaggio.
Madonna! si ce penzo,e che paura!,
ma po' facette un'anema e curaggio.

'O fatto è chisto,statemi a sentire:
s'avvicinava ll'ora d'à chiusura:
io,tomo tomo,stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.

"Qui dorme in pace il nobile marchese
signore di Rovigo e di Belluno
ardimentoso eroe di mille imprese
morto l'11 maggio del'31"

'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto...
...sotto 'na croce fatta 'e lampadine;
tre mazze 'e rose cu 'na lista 'e lutto:
cannele,cannelotte e sei lumine.

Proprio azzeccata 'a tomba 'e stu signore
nce stava 'n 'ata tomba piccerella,
abbandunata,senza manco un fiore;
pe' segno,sulamente 'na crucella.

E ncoppa 'a croce appena se liggeva:
"Esposito Gennaro - netturbino":
guardannola,che ppena me faceva
stu muorto senza manco nu lumino!

Questa è la vita! 'ncapo a me penzavo...
chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s'aspettava
ca pur all'atu munno era pezzente?

Mentre fantasticavo stu penziero,
s'era ggià fatta quase mezanotte,
e i'rimanette 'nchiuso priggiuniero,
muorto 'e paura...nnanze 'e cannelotte.

Tutto a 'nu tratto,che veco 'a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse 'a parte mia...
Penzaje:stu fatto a me mme pare strano...
Stongo scetato...dormo,o è fantasia?

Ate che fantasia;era 'o Marchese:
c'o' tubbo,'a caramella e c'o' pastrano;
chill'ato apriesso a isso un brutto arnese;
tutto fetente e cu 'nascopa mmano.

E chillo certamente è don Gennaro...
'omuorto puveriello...'o scupatore.
'Int 'a stu fatto i' nun ce veco chiaro:
so' muorte e se ritirano a chest'ora?

Putevano sta' 'a me quase 'nu palmo,
quanno 'o Marchese se fermaje 'e botto,
s'avota e tomo tomo..calmo calmo,
dicette a don Gennaro:"Giovanotto!

Da Voi vorrei saper,vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir,per mia vergogna,
accanto a me che sono blasonato!

La casta è casta e va,si,rispettata,
ma Voi perdeste il senso e la misura;
la Vostra salma andava,si,inumata;
ma seppellita nella spazzatura!

Ancora oltre sopportar non posso
la Vostra vicinanza puzzolente,
fa d'uopo,quindi,che cerchiate un fosso
tra i vostri pari,tra la vostra gente"

"Signor Marchese,nun è colpa mia,
i'nun v'avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie è stata a ffa' sta fesseria,
i' che putevo fa' si ero muorto?

Si fosse vivo ve farrei cuntento,
pigliasse 'a casciulella cu 'e qquatt'osse
e proprio mo,obbj'...'nd'a stu mumento
mme ne trasesse dinto a n'ata fossa".

"E cosa aspetti,oh turpe malcreato,
che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza!"

"Famme vedé..-piglia sta violenza...
'A verità,Marché,mme so' scucciato
'e te senti;e si perdo 'a pacienza,
mme scordo ca so' muorto e so mazzate!...

Ma chi te cride d'essere...nu ddio?
Ccà dinto,'o vvuo capi,ca simmo eguale?...
...Muorto si'tu e muorto so' pur'io;
ognuno comme a 'na'ato é tale e quale".

"Lurido porco!...Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri,nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali?".

"Tu qua' Natale...Pasca e Ppifania!!!
T''o vvuo' mettere 'ncapo...'int'a cervella
che staje malato ancora e' fantasia?...
'A morte 'o ssaje ched''e?...è una livella.

'Nu rre,'nu maggistrato,'nu grand'ommo,
trasenno stu canciello ha fatt'o punto
c'ha perzo tutto,'a vita e pure 'o nomme:
tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?

Perciò,stamme a ssenti...nun fa''o restivo,
suppuorteme vicino-che te 'mporta?
Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie...appartenimmo à morte!"

Antonio de Curtis - in arte Toto' 


venerdì 16 novembre 2012


Taci, anima mia. Son questi i tristi

Taci, anima mia. Son questi i tristi
giorni in cui senza volontà si vive,
i giorni dell'attesa disperata.
Come l'albero ignudo a mezzo inverno
che s'attrista nell'ombra della corte,
io non credo di mettere più foglie
e dubito d'averle messe mai.

Camminando solo
tra la gente che m'urta e non mi vede,
mi pare d'esser da me stesso assente.
E m'accalco ad udire dov'è ressa,
sosto dalle vetrine abbarbagliato
e mi volgo al frusciare d'ogni gonna.
Per la voce d'un cantastorie cieco
per l'improvviso lampo d'una nuca
mi sgocciolan dagli occhi sciocche lacrime
mi s'accendon negli occhi cupidigie.
Ché tutta la mia vita nei miei occhi
ogni cosa che passa la. commuove
come debole vento un'acqua morta.

Non sono che uno specchio rassegnato
che riflette ogni cosa per la via.
In me stesso non guardo perché nulla
vi troverei.

E, venuta la sera, nel mio letto
mi stendo lungo come in una bara.

Camillo Sbarbaro



Il mio passato

Spesso ripeto sottovoce
che si deve vivere di ricordi solo
quando mi sono rimasti pochi giorni.
Quello che è passato
è come se non ci fosse mai stato.
Il passato è un laccio che
stringe la gola alla mia mente
e toglie energie per affrontare il mio presente.
Il passato è solo fumo
di chi non ha vissuto.
Quello che ho già visto
non conta più niente.
Il passato ed il futuro
non sono realtà ma solo effimere illusioni.
Devo liberarmi del tempo
e vivere il presente giacché non esiste altro tempo       
che questo meraviglioso istante.

Alda Merini




Lettere

Rivedo le tue lettere d’amore
illuminata adesso da un distacco,
senza quasi rancore.

L’illusione era forte a sostenerci,
ci reggevamo entrambi negli abbracci,
pregando che durassero gli intenti.
Ci promettemmo il sempre degli amanti,
certi nei nostri spiriti divini.

E hai potuto lasciarmi,
e hai potuto intuire un’altra luce
che seguitasse dopo le mie spalle.

Mi hai resuscitato dalle scarse origini
con richiami di musica divina,
mi hai resa divergenza di dolore,
spazio, per la tua vita di ricerca
per abitarmi il tempo di un errore.

E mi hai lasciato solo le tue lettere,
onde io le ribevessi nella tua assenza.

Alda Merini



Una stagione

Questa donna una volta era fatta di carne
fresca e solida: quando portava un bambino,
si teneva nascosta e intristiva da sola.
Non amava mostrarsi sformata per strada.
Le altre volte (era giovane e senza volerlo
fece molti bambini) passava per strada
con un passo sicuro e sapeva godersi gli istanti.
I vestiti diventano vento le sere di marzo
e si stringono e tremano intorno alle donne che passano.
Il suo corpo di donna muoveva sicuro nel vento
che svaniva lasciandolo saldo. Non ebbe altro bene
che quel corpo, che adesso è consunto dai troppi figliuoli.

Nelle sere di vento si spande un sentore di linfe,
il sentore che aveva da giovane il corpo
tra le vesti superflue. Un sapore di terra bagnata,
che ogni marzo ritorna. Anche dove in città non c’è viali
e non giunge col sole il respiro del vento,
il suo corpo viveva, esalando di succhi
in fermento, tra i muri di pietra. Col tempo, anche lei,
che ha nutrito altri corpi, si è rotta e piegata.
Non è bello guardarla, ha perduto ogni forza;
ma, dei molti, una figlia ritorna a passare
per le strade, la sera, e ostentare nel vento
sotto gli alberi, solido e fresco, il suo corpo che vive.

E c’è un figlio che gira e sa stare da solo
e si sa divertire da solo. Ma guarda nei vetri,
compiaciuto del modo che tiene a braccetto
la compagna. Gli piace, d’un gioco di muscoli,
accostarsela mentre rilutta e baciarla sul colle.
Sopratutto gli piace, poi che ha generato
su quel corpo, lasciarlo intristire e tornare a se stesso.
Un amplesso lo fa solamente sorridere e un figlio
lo farebbe indignare. Lo sa la ragazza, che attende,
e prepara se stessa a nascondere il ventre sformato
e si gode con lui, compiacente, e gli ammira la forza
di quel corpo che serve per compiere tante altre cose.
  
Cesare Pavese



martedì 23 ottobre 2012


Nulla posso dire di te

Nulla posso dire di te trascorri nell’ombra
è per questo che nell’oscurità sei la mia guida
innominabile mi offri la schiena
per il mio tatto e le mie ansie il cammino dei re
e nella tua superficie profonda cade il mio spirito cieco
un raggio assetato di se stesso. Tu sei un’altra cosa.

Posso entrare in te soltanto come interferenza
affinchè le mie carezze siano portate
come i resti d’un naufragio
dall’incommensurabile fiume di parole
che sotto la tua pelle
attraversa l’infinito spazio del silenzio

Alejandro Jodorowsky


giovedì 18 ottobre 2012


"E l'amore guardò il tempo e rise, perché sapeva di non averne bisogno. Finse di morire per un giorno, e di rifiorire alla sera, senza leggi da rispettare. Si addormentò in un angolo di cuore per un tempo che non esisteva. Fuggì senza allontanarsi, ritornò senza essere partito, il tempo moriva e lui restava"

Luigi Pirandello


martedì 16 ottobre 2012


(da) una lettera a constance dowling

Ti amo.
Di questa parola so tutto il peso
- l’orrore e la meraviglia -
eppure te la dico, quasi con tranquillità.
L’ho usata così poco nella mia vita,
e così male, che è come nuova per me.

Cesare Pavese



domenica 14 ottobre 2012


Ditemi: come va con l'altra

Ditemi: come va con l'altra?
Meno grane? - Mano ai remi!
Vana linea costiera s'assottiglia,
scompare la memoria estrema
di me, isola fluttuante
(per cielo, non per mare...)

Anime, anime: sorelle!
Anime: amiche - mai più amanti!
Come vi va con la creatura semplice?
Senza divinità? E poi?
Voi, sceso dal trono, voi
che avete deposto la regina,
come vivete? Non c'è male?
Non più beghe? E bevete - quanto, adesso?

E la cucina?
Il dazio della mediocrità immortale
come lo pagate, poveretto?
"Basta con le scenate,
con gli eccessi - cambio casa, vado via!"

Con la qualunque - come state
di che vivete, voi - mio eletto?
Mangiate - e dopo pranzo un sonnellino?
Non lamentarti quando sarai sazio!...
Con il simulacro come state
voi che avete dissacrato il Sinai?

Come vivete con la donna terrestre?
Per la costola vi piace?
Non vi frusta la fronte la vergogna?
E la salute? E i nervi?
Senza problemi? A letto tutto bene?

L'immortale piaga della coscienza
come la curate, poveretto?
Come vivete con la merce da mercato?
Troppo cara la vita? Vi assilla l'alto prezzo?

Dopo i marmi di Carrara
che ve ne fate del tritume di gesso?
(È in pezzi il dio scolpito nell'argilla...)
Come ci state con la milleunesima voi
che avete conosciuto Lilith?
Già v'annoia l'ultima trovata della moda?

Sottratto all'incantesimo,
dite, come ve la passate 
con l'umana senza il sesto senso?
In coscienza - sei felice? -No?
In quel disastro senza dei
come stai, amore? È dura?
Sì? Come per me con l'altro?

Marina Cvetaeva




mercoledì 10 ottobre 2012


Se tremi per l'indignazione davanti alle ingiustizie, allora sei mio fratello.

Ernesto "Che" Guevara (Rosario, 14 maggio 1928 – La Higuera, 9 ottobre 1967)



martedì 9 ottobre 2012


Insegnamento

Mia madre trovava lo studio
la cosa più fine del mondo.
Non lo è.
La cosa più fine del mondo è il sentimento.

Quel giorno di notte,
papà che faceva la nottata,
lei mi disse:
"Poveraccio, fino a quest'ora al lavoro pesante."
Sistemò pane e caffè,
lasciò la pentola sul fuoco con acqua calda.
Non mi parlò d'amore.
Questa parola di lusso.

Adélia Prado


lunedì 8 ottobre 2012


Se della mia voce

Se della mia voce potessi liberarmi
per attorcigliare la tua gola alla mia
e solo usare quell'oceano
formato dalle tue parole che nettare sono
per la mia lingua di orfano di vedovo di straniero
Se smettere potessi d'essere assente
per trasformare la tua anima nella mia patria
lasciandoti sentire per una volta
l'impatto mortale del mio silenzio
In fondo altro non sono che il ricordo della tua voce.
Ogni volta che mi rifiuti
finisci di partorirmi.

Alejandro Jodorowsky



Nonostante la tua assenza

Mi rotolo in tutte le ceneri
cercando di trovare l'unico fuoco
mi siedo a conversare con l'ombra
che un giorno d'estate dimenticasti sul divano.

Sono il sogno delle orme di alcuni passi
che una notte persero la memoria.
Nessuno mai è passato di qui.
S'affitta la camera vuota
di una casa che ormai più non esiste.

Alejandro Jodorowsky


sabato 6 ottobre 2012


da Aut-Aut

Il voler giocare a nascondersi si sconta sempre nel modo più naturale, col diventar misteriosi a se stessi.

Søren Kierkegaard



Momenti di un’estate

Il cielo è blu, e gaia l’erba verde.
I miei occhi tristi blandiscono l’estraneo scenario.
Oh, potesse il mio cuore prendervi parte
e non sentire la dolorosa sensazione della vita che fugge!

Non ho dimora, né ore che mi preservino dal dolore.
Dolci brezze, accorrete alla mia mente!
Grande fiume, così calmo e vero,
insegnami ad andare incontro alla vita come te!

Io non ho tregue, i miei fiori sono appassiti.
Cos’era quel cercare che la mia volontà ha eluso?
Non m’importa neppure ciò che desidero.
Il mio cuore è ricco e il mio amore povero.

Oh, giorno dorato, penetra in me
e irradia la mia anima con la gioiosa luce del sole!
Lascia che io sia soltanto una finestra
attraverso cui tu passi con un chiaro, tiepido non-dolore.

Svengo e tremo nel sentire avvicinarsi la vita.
O fiume che scorri, dov’è la mia casa?
O liete ore che i prati consumano,
fresche piogge estive! O mia disperazione!

O felici orizzonti! O allegre colline!
Quale dolore imprigionano i miei struggenti desideri?
Cosa c’è tra me e me stesso?
Che cosa avrebbe dovuto essere perché così non fosse?

La mia vita non-dolore sarà
che una spiaggia solitaria colpita dal mare!
Quale fato, quale potere dell’oscura disperazione
fa sentire ogni ora allegra come se non lo fosse?

Oh, per un po’ di riposo! Dammi una dimora,
una speranza, un nido per non smarrirmi!
In qualche luogo nella vita deve pur esserci
qualcosa che non sia lotta ad aspettarmi.

Guidami fin lì, o giorno felice!
Lascia che il mio cuore sopporti la tua dipartita!
Sveglia in me le speranze almeno, anche se false.
Il mio spirito cerca a tentoni le mura di una prigione.
Lieve mormorio di ruscelli, dolce sposa dell’estate
perché ho fatto di sogni la mia unica vita?
  
Fernando Pessoa


venerdì 5 ottobre 2012


da L'opera da tre soldi

La legge è fatta esclusivamente per lo sfruttamento di coloro che non la capiscono, o ai quali la brutale necessità non permette di rispettarla.

Bertolt Brecht




da Della Certezza

Il bambino impara, perché crede agli adulti. Il dubbio viene dopo la credenza.

Ludwig Wittgenstein


giovedì 4 ottobre 2012


(da) I fiori blu

"L'istruzione! Vede cos'è l'istruzione, signore? S'impara quel tanto a scuola, si fatica, e non poco, per imparare quel tanto a scuola, e poi, vent'anni dopo, o magari prima, non è più così, le cose sono cambiate, non... se ne sa più niente. Allora non valeva la pena. È per questo che mi piace più pensare che imparare".

Raymond Queneau