martedì 20 novembre 2012


Lisbona, 14 marzo 1916
Mio caro Sa-Carneiro,
Le scrivo oggi per necessità sentimentale, per una struggente ansia di parlare con Lei. Come si desume da quanto segue, non ho niente da dirLe. 
Solo questo: che oggi ho toccato il fondo di una depressione senza fondo. L'assurdità della frase parla per me. Oggi mi trovo in uno di quei giorni in cui non ho mai avuto futuro. C'è solo il presente: immobile come un muro di angoscia tutto attorno. L'altra riva del fiume, in quanto è quella di là, non è mai quella di qua: e questa è l'intima ragione di ogni mia sofferenza. Ci sono navi dirette verso molti porti, ma nessuna verso dove la vita non dolga, perché non si può sbarcare nel porto della dimenticanza. Tutto ciò è accaduto molto tempo fa, ma la mia pena è più antica. In giorni dell'anima come questo io sento perfettamente, con tutta la coscienza del mio corpo, di essere il bambino triste che la vita ha malmenato. Mi hanno messo in un canto da dove sento gli altri che giocano. tengo fra le mani il giocattolo rotto che mi hanno regalato per un'ironia di latta. Oggi la mia vita si rende conto perfettamente di tutto ciò. Nel giardino che scorgo fra le silenziose finestre della mia prigionia, hanno spinto tutte le altalene più in alto dei rami cui erano attaccate; sono attorcigliate troppo in alto; e così neanche l'idea di essere fuggito può, nella mia immaginazione, disporre di un'altalena per dimenticare l'ora presente. Questo all'incirca, ma detto senza stile, è il mio stato d'animo in questo momento. Come alla vegliatrice del Marinheiro, mi bruciano gli occhi per aver immaginato di piangere. La vita mi duole a pezzi, a sorsate, per interstizi. Tutto ciò è stampato a caratteri minuscoli in un libro dalla brossura che si sta scucendo. Se non stessi scrivendo proprio a Lei, sarei obbligato a giurare che sto scrivendo una lettera sincera e che e che le cose dal nesso isterico che essa contiene sono scaturite spontaneamente da quanto ho nell’animo. Ma Le i capirà perfettamente che questa irrappresentabile tragedia ha la stessa realtà di un attaccapanni o di una tazzina –piena di qui e di ora, e che passa dentro di me come il verde passa nelle foglie.(…)
La mia non è pazzia; ma anche la pazzia deve procurare un abbandono nei riguardi di ciò che ci fi soffrire un astuto piacere degli sbigottimenti dell’animo non molto differenti dal mio.
Di che colore sarà sentire?
Migliaia di abbracci dal sempre Suo

Fernando Pessoa


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