Fernando Pessoa - Lettere a Ophélia Queiroz
29 novembre 1920
Ophelinha,
la ringrazio per la lettera. Essa mi ha portato dolore e
sollievo allo stesso tempo. Dolore perché queste cose addolorano sempre;
sollievo perché, in verità, l'unica soluzione è questa: non prolungare oltre
una situazione che ormai non trova più una giustificazione nell'amore, né da
una parte né dall'altra. Da parte mia, almeno, resta una stima profonda,
un'amicizia inalterabile.
Lei non mi negherà altrettanto, vero?
Né lei, Ophelinha, né io, abbiamo colpa di tutto questo.
Solo il Destino ne avrebbe la colpa, se il Destino fosse una persona a cui
poter attribuire delle colpe.
Il Tempo, che invecchia i volti e i capelli, invecchia
anche, ma ancor più rapidamente, gli affetti violenti. La maggior parte della
gente, per la sua stupidità, riesce a non accorgersene, e crede di continuare
ad amare perché ha contratto l'abitudine di sentire se stessa che ama. Se non
fosse così, non ci sarebbe al mondo gente felice. Le creature superiori,
tuttavia, sono private della possibilità di codesta illusione, perché non
possono credere che l'amore sia duraturo, né, quando sentono che esso è finito,
si sbagliano interpretando come amore la stima, o la gratitudine, che esso ha
lasciato.
Queste cose fanno soffrire, ma poi il dolore passa. Se la
stessa vita, che è tutto, passa, perché non dovrebbero passare l'amore, il
dolore e tutte le altre cose che sono solo parti della vita?
Nella sua lettera è ingiusta con me, ma la comprendo e la
scuso. Certo l'ha scritta con irritazione, forse perfino con dolore; ma la
maggior parte della gente - uomini e donne - avrebbe scritto, nel suo caso, in
un tono ancor più acerbo e in termini ancora più ingiusti. Ma lei, Ophelinha,
ha un meraviglioso carattere, e perfino la sua irritazione non riesce ad essere
cattiva. Quando si sposerà, se non avrà la felicità che si merita, certamente
non sarà colpa sua.
Quanto a me...
L'amore è passato. Ma le mantengo un affetto inalterabile, e
non dimenticherò mai - mai, lo creda - né la sua figurina graziosa e i suoi
modi di ragazzina, né la sua tenerezza, la sua dedizione, la sua adorabile
indole, può essere che mi sbagli, e che queste qualità che le attribuisco
fossero una mia illusione; ma non credo che lo fossero né, se lo sono state,
sarei così villano da attribuirgliele.
Non so che cosa desidera che le restituisca: lettere o che
altro ancora.
Io preferirei non restituirle niente, conservare le sue
lettere come il ricordo vivo di un passato morto come ogni passato; come un
qualcosa di commovente in una vita quale la mia, in cui l'avanzare negli anni
va di pari passo con l'avanzare nell'infelicità e nella delusione.
Le chiedo di non fare come la gente comune, che è sempre
grossolana: che non giri la testa quando ci incontreremo; né abbia di me un
ricordo in cui ci sia spazio per il rancore.
La prego, siamo l'uno con l'altro come due persone che si
conoscono dall'infanzia, che si amarono da bambini e, sebbene nella vita adulta
seguano altre strade e altri affetti, conservano sempre, in una piega
dell'animo, il ricordo profondo del loro amore antico e inutile.
Per quanto forse "altri affetti" e "altre
strade" possano concernere lei, Ophelinha, non certo me stesso. Il mio
destino appartiene ad altra Legge, della cui esistenza lei è all'oscuro, ed è
subordinato sempre più all'obbedienza a Maestri che non permettono e non
perdonano.
Ma non è necessario che capisca quanto dico. Basta che mi
conservi affettuosamente nel suo ricordo come io, sempre, la conserverò nel
mio.
Fernando
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